L’OLIO D’OLIVA ITALIANO MESSO ALLE STRETTE DA CLIMA E RINCARI

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Una siccità senza eguali, gelate tardive, costi energetici che sembrano impazziti, pressioni dovute a fattori esterni come la guerra in Ucraina. La produzione di olio d’oliva italiano registra un calo del 30%. Persa 1 bottiglia su 3 del nostro prezioso extravergine Made in Italy. 

by Elisa Crotti

Con il 2022 annus horribilis per le gelate tardive, la forte siccità con picchi mai visti negli ultimi settant’anni e il costo dell’energia cresciuto a dismisura, l’olio d’oliva italiano sta attraversando una fase fortemente critica. Si stima infatti un vero e proprio crollo della produzione nazionale di olive (-30%), che porterà gli italiani – fra i primi consumatori al mondo – a dover rinunciare a oltre 1 bottiglia su 3 di olio extravergine Made in Italy.  

«A pesare sulla produzione nazionale – illustrano Coldiretti e Unaprol con il report “2022, la guerra dell’olio Made in Italy” –, è stata la siccità devastante, che ha messo in stress idrico gli uliveti danneggiando prima la fioritura e poi le gemme, soprattutto in quelle zone dove non si è potuto intervenire con le irrigazioni di soccorso per dissetare e rinfrescare le piante. Ma diverse aziende hanno inoltre deciso di non intervenire per gli elevati costi di carburante, elettricità, service e prodotti di supporto alla nutrizione dei terreni».  

Così, la campagna di raccolta delle olive 2022- 2023 sarà probabilmente ricordata come una delle peggiori della storia.  

Un raccolto in crisi  

La Sicilia ha come sempre anticipato tutte le altre regioni italiane, vedendo immediatamente una produzione in netto calo rispetto alla campagna precedente (-35%). Il dato è condiviso in generale nel Sud Italia, in particolare nelle regioni più vocate all’olivicoltura come Puglia e Calabria, che da sole rappresentano circa il 70% della produzione olivicola nazionale. Specialmente in Puglia, cuore dell’olivicoltura italiana, si rischia un taglio fino al 50%. Continua a perdere terreno il Salento, dove la Xylella ha bruciato un potenziale pari al 10% della produzione nazionale. 

Meglio la produzione nelle regioni centrali, come Lazio e Toscana, con un leggero rialzo rispetto all’anno precedente, stimabile tra il 10 e il 20%. Ben diversi i dati del Nord Italia, che grazie ai cambiamenti climatici ha potuto ricomprendere fra i terreni agricoli anche le vallate alpine, segnando un aumento produttivo attorno al 40- 60% fra Liguria, Lombardia e Veneto.  

A conti fatti, l’Italia che normalmente supera le 300 mila tonnellate chiuderà a meno di 200 mila.  

Mal comune mezzo gaudio? Il gaudio non c’è, ma il male è certamente comune. Non vi sono dubbi che il quadro della produzione sia demoralizzante per tutti, in Europa: ad esempio la Spagna ha prodotto 750 mila tonnellate d’olio, meno della metà dell’anno scorso; resta stabile la Grecia, che però contribuisce in minima parte con le sue 250 mila tonnellate.  

E la conseguenza immediata è l’impennata del costo dell’olio comunitario, passato a 5 euro al chilo (quello italiano è sugli 8 euro). Il costo della frangitura è aumentato del 60% (si va da un minimo di 12 euro al quintale nei frantoi industriali a un massimo di 20 euro al quintale in quelli familiari). 

Bollette salate e rincari per tutti  

Complessivamente i costi di produzione sono saliti del 120%, generando inevitabili tensioni nel rapporto fra produttori e retail. Infatti, se da un lato la Gdo ha in una prima fase cercato di non scaricare a scaffale l’intero aumento, tentando di proteggere se stessa e i propri clienti, dall’altro lato si profilano a breve ulteriori aumenti per i consumatori, con stime a tinte fosche: il prezzo dell’olio per le famiglie italiane potrà aumentare tra 2 e 2,5 volte.  

«Con l’esplosione dei costi aumentati in media del 50% nelle aziende olivicole – evidenziano Coldiretti e Unaprol – quasi 1 su 10 (circa il 9%) lavora in perdita ed è a rischio di chiusura. A pesare, sono in particolare i rincari diretti e indiretti determinati dall’energia che vanno dal +170% dei concimi al +129% per il gasolio nelle campagne, mentre il vetro costa oltre il 30% in più rispetto allo scorso anno.  

Si registra, inoltre, un incremento del 35% per le etichette, del 45% per il cartone, del 60% per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70% per la plastica». Quintuplicati, infine, i costi dell’elettricità. 

La qualità come elemento chiave  

Quel che rimane invariata, nonostante tutto, è la qualità. L’Italia vanta infatti il più ricco patrimonio di varietà di olii a livello mondiale, con 250 milioni di piante in grado di tutelare l’ambiente e la biodiversità.  

Quello dell’olio è un sistema economico che vale oltre 3 miliardi di euro, grazie al lavoro di una rete di 400mila imprese tra aziende agricole, frantoi e industrie di trasformazione. 

Si tratta di un comparto che, oltre a generare migliaia di posti di lavoro, rappresenta un cammeo dell’italian food e dell’italian life style sui mercati. La sfida con la Spagna, la Tunisia, il Marocco e il Portogallo è ormai probabilmente persa: questi Paesi hanno investito, da decenni, sul super intensivo e hanno vinto la battaglia della quantità. All’Italia resta il terreno della qualità.  

Occorre quindi rilanciare la produzione nazionale, tra l’altro messa a rischio anche dal Nutriscore, un sistema di etichettatura che finisce paradossalmente per escludere dalla dieta proprio un alimento sano e naturale come l’olio d’oliva, vero pilastro della Dieta Mediterranea, benefica per la salute e la longevità. 

Il futuro del comparto  

Basandosi su dati Istat, l’Italia compare fra i primi tre maggiori consumatori di olio extravergine di oliva al mondo con circa 480 milioni di chili, subito dopo la Spagna e prima degli Stati Uniti, e rappresenta il 15% dei consumi mondiali. Gli italiani usano in media 8 chili a testa di olio extravergine di oliva e ogni famiglia spende in media 117 euro all’anno per acquistare olio d’oliva, che è anche l’alimento più popolare sulle tavole nazionali.  

Per quel che riguarda i consumi interni, resta forte la propensione all’acquisto all’interno delle grandi catene commerciali, ma cresce la tendenza all’acquisto diretto dalle aziende agricole e dai frantoi.  

Nonostante questo, il comparto già da anni soffre un trend di calo dei consumi e sta attraversando una fase di dibattito interno alla categoria dei produttori di olive e di oli. Si tratta di una categoria variegata con interessi divergenti, dove compaiono famiglie di produttori di piccole dimensioni e aziende multinazionali.  

Se c’è chi vorrebbe scommettere sulle coltivazioni intensive, c’è anche chi opterebbe per una valorizzazione delle piccole produzioni di qualità. Alcuni si dichiarano favorevoli alle importazioni di olio anche non comunitario, altri ritengono essenziale tutelare le produzioni locali.  

Su un aspetto pare però esserci un accordo: occorre un piano nazionale, volto alla modernizzazione sia dei campi che degli impianti, da sostenere con generosi investimenti privati.  

L’olivicoltura e tutto il sistema rappresentano uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy agroalimentare, un vero patrimonio da valorizzare. 

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